Agricoltura, aziende sempre più giovani e digitalizzate

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In base ai dati del Registro delle imprese, dal 2017 a oggi «sono nate ogni giorno per mano di giovani fino a 35 anni di età 21 nuove aziende agricole, mentre 5 hanno chiuso i battenti, rendendo il saldo tra iscrizioni e cessazioni in attivo per oltre 6.000 aziende nella media del quinquennio». È il risultato di una ricerca condotta da Ismea-Rrn e presentata al Salone del gusto di Torino nel corso della conferenza “Generazione Terra: valore, cibo e ambiente. Il ruolo dei giovani nella filiera agroalimentare italiana”, sulla base dei dati più aggiornati dal nuovo censimento dell’agricoltura dell’Istat.

L’analisi di Ismea suggerisce che per effetto di queste dinamiche il numero di imprese agricole condotte dalle nuove generazioni «risulta a fine 2021 di 56.172», manifestando una crescita dello 0,4% all’anno negli ultimi cinque anni, mentre nello stesso periodo «il numero complessivo delle aziende agricole si è ridotto al ritmo dello 0,7% all’anno» e quello delle aziende “giovanili” dell’intera economia «addirittura del 2,4%, corrispondente alla scomparsa di oltre 70.000 imprese nel periodo osservato». Ne deriva che l’Italia si conferma essere «tra i paesi che maggiormente contribuiscono all’invecchiamento della popolazione europea», tant’è che nelle aree rurali «il numero dei giovani si è quasi dimezzato negli ultimi 10 anni», ponendo a rischio la tenuta demografica e socio-economica di interi territori con gravi conseguenze anche sotto il profilo ambientale.

Tuttavia, sulla base di questi dati complessivamente poco rassicuranti, lo studio e l’analisi di Ismea sostiene che «più rassicuranti» si dimostrano i dati «sulle imprese a conduzione giovanile in agricoltura, che, seppur di poco, crescono di numero nel quinquennio», in controtendenza rispetto al resto dell’economia e alla progressiva riduzione del numero di aziende agricole nel complesso. Tant’è che «le aziende condotte da giovani presentano un grado maggiore competitività, produttività, propensione all’innovazione e orientamento al mercato». Mediamente i giovani risultano essere “più formati” (49,7% dei capi azienda giovani ha un diploma di scuola superiore e il 19,4% una laurea), “le aziende da loro condotte sono più grandi” (18,3 ettari di Sau per azienda contro 10,7), “più orientate al mercato” e il loro “livello di digitalizzazione è il doppio dell’agricoltura nel complesso”, così come “più elevata risulta la propensione all’innovazione” (il 24,4% dei giovani ha realizzato almeno un investimento innovativo nel triennio 2018-2020, a fronte del 9,7% dei non giovani).

Secondo la ricerca Ismea-Istat sulle imprese a conduzione giovanile, «i giovani sono poi in prima linea anche nel modello di agricoltura multifunzionale», pratica che sta cambiando la percezione del settore primario italiano, spesso con importanti ricadute sull’ambiente e sulla collettività, «come nel caso della produzione di energie rinnovabili o l’agricoltura sociale». Il giovane agricoltore, insomma, «da semplice produttore di derrate alimentari, diventa creatore di servizi e generatore di valore per il territorio rurale», attraverso esempi di successo come gli agriturismi, le attività di trasformazione e vendita diretta dei prodotti, le fattorie didattiche, gli agriasili. L’incidenza dei giovani nelle aziende con attività connesse, sale infatti al 19%, si legge nello studio.

«I giovani che scelgono l’agricoltura sono in gran parte laureati, hanno viaggiato all’estero, usano il web e la tecnologia», ha commentato la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini, tant’è che «nelle loro imprese, oltre alla coltivazione, sviluppano attività di trasformazione dei prodotti e vendita diretta, fattorie didattiche e agricoltura sociale per l’inserimento di persone svantaggiate. Si tratta di giovani “attenti all’ambiente, impegnati nella lotta alla crisi climatica, credono nei valori di un’agricoltura sostenibile». Anima della transizione ecologica, «sono loro la generazione a cui guardare per declinare le politiche agricole del futuro: con lungimiranza e coraggio», ha proseguito Nappini, in quanto “le generazioni attuali hanno compreso e accolto in prima persona l’urgenza delle crisi climatica, ambientale e sociale che viviamo». Il risultato è che «l’agricoltura per loro e anche per Slow Food è un progetto culturale, una scelta consapevole: significa diventare artefici piuttosto che consumatori di senso», ha concluso la presidente dell’associazione fondata da Carlo Petrini.

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