Ortofrutta, a Bologna si discute sulla stabilità

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Gli interventi di Tamanti (Cso) e Rabboni (Regione Emilia-Romagna) durante il convegno \'Ortofrutta: nuovi strumenti per la stabilità del settore\'

Negli ultimi anni l’ortofrutta italiana sta vivendo un forte cambiamento: la produzione di ortofrutta (esclusi il pomodoro da industria, le olive e la vite da vino) ha superato nel 2011 i 20 milioni di tonnellate in Italia, con una sostanziale stabilità – se non un lieve incremento – negli ultimi dieci anni. La PLV ha raggiunto nel 2010 i 13,8 miliardi di euro, pari al 34% della PLV agricola, contro gli 11 miliardi di euro del 2000 e un peso sul comparto agricolo del 28%.

Gli acquisti totali di ortofrutta sono invece in costante decremento negli ultimi dieci anni. Dal 2000 ad oggi gli acquisti di ortofrutta sono scesi da 9,5 milioni a 8,3 milioni di tonnellate, quelli di frutta da 5 a 4,5 milioni di tonnellate e quelli di verdura da quasi 4,5 a 3,8 milioni di tonnellate. L’export è positivo, ma al pari cresce l’import e così si sta riducendo la forbice positiva della bilancia commerciale. Il saldo commerciale dieci anni fa era 1,6 milioni di tonnellate, mentre oggi è pari ad un milione di tonnellate.

La situazione, insomma, è in grande evoluzione ed è sempre più difficile fare reddito. «Per questo, è molto importante che come CSO promuoviamo un nuovo approccio ai problemi e soprattutto più rapidità nella messa in atto di nuove idee e strategie»: è questo il messaggio che emerge dall’intervento di Mario Tamanti, consigliere delegato di Cso, durante il convegno "Ortofrutta: nuovi strumenti per la stabilità del settore" tenutosi ieri a Bologna.

Ha detto Tamanti: «Ho voluto analizzare i problemi del nostro settore con un approccio metodologico legato a fatti ed esempi concreti. Dobbiamo cercare di semplificare le complessità, individuando percorsi condivisi su alcuni temi cruciali del settore. Programmare le produzioni è un imperativo categorico e il CSO, con la sua esperienza, potrebbe lavorare per la costituzione del catasto per le principali specie a livello nazionale e soprattutto sviluppare una rete a livello europeo per pesche e nettarine. Abbiamo sempre più bisogno di promuovere i prodotti, comunicando insieme ai consumatori i requisiti plus dell’ortofrutta italiana, come già stiamo iniziando a fare con il progetto "Ortofrutta d’Italia". Sul comparto pera, infine, c’è l’esigenza di sviluppare nuovi modelli per governare l’offerta e per recuperare margini e competitività al fine di garantire un futuro ai produttori. A questo scopo stiamo lavorando con tutti gli operatori e le rappresentanze agricole per costruire un organismo interprofessionale, ovvero l’organizzazione di un sistema "pera" in grado di darsi delle regole produttive e commerciali. Infine siamo anche al lavoro per la messa a punto di modelli assicurativi innovativi basati sulla costituzione di fondi mutualistici operanti per tutelare il reddito dei produttori dalle crisi di mercato. Sono alcuni esempi concreti che testimoniano la nostra volontà di lavorare in squadra con le imprese associate per fornire servizi qualificati per una maggiore conoscenza della produzione e dei mercati e soprattutto trovare soluzioni innovative indispensabili per salvaguardare e qualificare l’ortofrutta un settore strategico dell’economia italiana».

Molto interessante e condiviso anche l’intervento dell’assessore all’agricoltura della Regione Emilia-Romagna, Tiberio Rabboni, che ha illustrato le sue cinque proposte per il rilancio del settore ortofrutticolo, il quale «deve passare attraverso il miglioramento qualitativo delle produzioni e la concentrazione dell’offerta, ma soprattutto attraverso la definizione di una strategia comune di ottimizzazione del rapporto con il mercato e di minimizzazione dei suoi rischi potenziali, che coinvolga il numero più elevato possibile di imprese di produzione, aderenti o esterne al sistema organizzato. In una parola, una strategia di stabilizzazione di un valore all’origine della produzione ortofrutticola realmente remunerativo e stabile nel tempo. Tale strategia deve appoggiarsi su almeno cinque azioni che chiamano in causa la convergenza di tutte le rappresentanze del settore: occorre infatti programmare la produzione e la commercializzazione puntando sulle organizzazioni interprofessionali, ovvero quegli organismi in cui vengono condivise le regole di funzionamento dell’intera filiera.  Il primo nodo da sciogliere è quello dell’interprofessione, vale a dire l’unico strumento che in forza della legge consente l’autogoverno dei rapporti di filiera. Questo tema si pone soprattutto a livello nazionale, mentre a livello regionale e interregionale stiamo procedendo con determinazione alla costituzione, laddove i dati produttivi lo consentono, di organismi interprofessionali territoriali. Tutto il comparto va coinvolto e per questo proponiamo al Ministero di condividere con le Regioni una strategia fondata su regole elastiche che tengano conto delle diverse realtà territoriali, di favorire le aggregazioni che nascono dal basso e di fare di questi organismi gli interlocutori principali delle politiche pubbliche, sia per quanto riguarda il Psr che la futura Ocm. Ma accanto a questo strumento servono altri provvedimenti, dalle assicurazioni sul reddito e dai fondi mutualistici – da attivare nel caso di annate negative – a ritiri più efficaci per prevenire e gestire le crisi di mercato, alla creazione di un fondo autofinanziato per destinare una quota della produzione ordinaria all’apertura e all’avviamento di nuovi mercati. Infine, il quinto strumento è una buona applicazione dell’articolo 62 del Decreto Liberalizzazioni, che introduce l’obbligo di contratti scritti nei rapporti di fornitura, tempi massimi di pagamento e il divieto di pratiche commerciali scorrette. Il pagamento a trenta giorni delle produzioni deperibili significa un accorciamento di almeno trenta giorni rispetto ai tempi attuali, e quindi un miglioramento della liquidità dell’intero sistema che, in una fase come questa di difficile accesso al credito, può dare un impulso significativo al settore. Il provvedimento non costerebbe nulla alle casse dello Stato, ma per le aziende agricole può valere un incremento di 250 milioni di euro della liquidità e oltre 30 milioni di minori costi aziendali sottratti all’indebitamento bancario».

Fonti: comunicato stampa Cso / FreshPlaza.it

Foto di Fabrizio dell’Aquila (Diateca Agricoltura)

Agrinotizie


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