Soia, una guida sui costi e sui rischi da affrontare
L’aumento è stato vertiginoso: in un anno, la superficie coltivata a soia in Italia è cresciuta di quasi il 20%, superando i 165 mila ettari e scatenando la ripresa degli investimenti su questo prodotto. Questo perchè gli agricoltori italiani si stanno rendendo conto che la soia è oggi un prodotto molto redditizio, richiedendo costi di produzione piuttosto contenuti e avendo un valore di mercato particolarmente alto, almeno in questo periodo. Per riuscire a contenere i costi, tuttavia, è necessario godere di un apporto idrico naturale piuttosto elevato, un fattore che in Italia è presente solo nelle regioni settentrionali, dove infatti si concentra la produzione di soia. Al sud sarebbero necessari degli interventi irrigui dai costi troppo elevati rispetto ai ricavi. Sono allora gli agricoltori del nord a poter puntare su un prodotto oggi particolarmente conveniente, a partire dai costi di produzione.
Prendiamo come esempio le spese richieste dalle tecniche di coltivazione della soia adottate in Emilia-Romagna*: i costi espliciti, ovvero quelli diretti della coltivazione, ammontano in media a 874 euro/ha, ed equivalgono al 65% dei costi totali di produzione. Di questa cifra, le spese più ingenti sono quelle della semina e della raccolta, che richiedono rispettivamente 236 e 200 euro/ha. Ma perchè delle cifre così basse? Il motivo principale sta nelle caratteristiche naturali della soia, una leguminosa in grado di realizzare simbiosi con i batteri azoto-fissatori già presenti nel terreno o distribuiti durante la semina: questa capacità rende inutile la concimazione azotata, facendo risparmiare all’agricoltore i costi di fertilizzazione, che ammonterebbero ad almeno 70 euro/ha. Inoltre, senza fertilizzazione la soia non presenta quelle caratteristiche estetiche negative provocate dalla concimazione azotata.
Agli 874 euro/ha di costi diretti vanno poi sommati i 502 di costi indiretti di coltivazione, che comprendono manutenzione, tasse e altre spese generali di amministrazione. Ciò porta la spesa totale per la produzione di soia a 1376 euro/ha. Proprio qui viene però in aiuto il premio unico erogato dall’Unione Europea, equivalente a 330 euro/ha: un ettaro coltivato a soia, dunque, viene a costare appena 1046 euro, una cifra ipotetica che può ovviamente variare di regione in regione. Ma che rimane comunque molto ridotta, soprattutto se comparata alle attuali quotazioni di mercato: il margine di profitto della soia, oggi, può superare i 500 euro/ha. Anche questa cifra può variare a seconda del singolo contesto produttivo, ma il vantaggio apportato dalla coltivazione della soia rimane indubbio in tutta Italia. Questo prodotto è inoltre in grado di apportare altri benefici oltre a quello economico, a partire dal miglioramento della fertilità del terreno. Per gli agricoltori della Pianura Padana, infatti, la soia è un’utile e redditizia pausa nella rotazione dei cereali coltivati.
Attenzione, però: se i prezzi della soia in questo periodo stanno conoscendo una fase positiva, grazie al grande aumento mondiale del consumo di questo prodotto (l’Italia la esporta addirittura in Cina), sulla situazione rimane sempre un’ombra di timore: nessuno, infatti ha ancora dimenticato la grande impennata del prezzo della soia avvenuta nel 2008 e poi subito spentasi. Un’illusione che aveva coinvolto numerosi operatori, da allora molto più attenti al complesso fenomeno della volatilità dei prezzi. E’ allora molto importante analizzare la situazione mondiale del mercato della soia, per capire cosa è cambiato da quel fatidico 2008 e cosa è rimasto immutato.
Si può dire che sulle quotazioni di questo prodotto esistano due categorie di fattori di influenza, quelli duraturi e quelli congiunturali. Partendo dai primi, bisogna considerare che il mercato mondiale della soia presenta quattro Stati cosiddetti "forti", non tanto per la domanda, ma soprattutto per l’offerta: Stati Uniti (43% delle esportazioni mondiali), Brasile (22%), Argentina (12%) e Paraguay (6%). Dieci anni fa gli Stati Uniti avevano una quota di mercato ben maggiore, ma la crescita dei paesi sudamericani ha portato loro via delle consistenti fette. Questo a causa dell’incredibile impennata della domanda globale, che ha portato l’America del Sud a tuffarsi nella coltivazione della soia: basti pensare che in dieci anni i consumi di questo prodotto sono aumentati di 80 tonnellate.
L’aumento più consistente è avvenuto in Cina, costretta ad importare sempre più soia per soddisfare la domanda interna, coperta solo per il 20% dall’agricoltura nazionale: dai 10 milioni di tonnellate importate nel 2000 si è passati a 57 milioni nel 2010. La Cina, con una fetta di ben il 60%, è ad oggi il maggior importatore mondiale di soia, il vero vettore del mercato, l’unico Stato in grado di decidere le sorti di questo prodotto, diventato oggi una delle commodities più commercializzate del globo. In Europa, invece, questa leguminosa è molto meno importante come alimento, ma viene utilizzata soprattutto come mangime per gli animali da allevamento. L’agricoltura europea, soprattutto quella di Italia e Romania, riesce a soddisfare appena il 6% dei consumi interni. Necessarie sono allora le importazioni (il 15% del totale mondiale, contro il 60% cinese), che ogni anno si aggirano intorno ai 12-14 milioni di tonnellate di prodotto naturale, ai quali vanno sommati i 23 milioni di tonnellate di farina e le 700 mila di olio. La dipendenza europea dalle importazioni estere fa sì che le quotazioni di soia siano praticamente identiche a quelle internazionali: un fattore di tranquillità per i produttori nostrani.
Sulle quotazioni del mercato globale, come detto, influiscono però anche dei fattori congiunturali. Analizziamo quanto accaduto negli ultimi due anni: nella campagna 2009-2010 la produzione è stata abbondante, ma la domanda è calata; nella campagna 2010-2011, invece, è successo l’inverso. Questo soprattutto a causa della siccità che ha colpito l’Argentina, compromettendo la produzione di soia, calata di 3,8 milioni di tonnellate a livello mondiale, contro un aumento delle importazioni di 8 milioni di tonnellate (di cui 6,5 solo in Cina). A giocare ogni anno sulle quotazioni della soia è inoltre il tasso di cambio: più il dollaro si indebolisce, più conviene importare soia. In Europa, invece, gli agricoltori sono sempre svantaggiati, perchè la domanda internazionale è talmente rigida che si può permettere di ignorare le variazioni del cambio euro/dollaro, e così il prezzo in euro della soia risulta sempre svalutato rispetto alla corrispondente quotazione in dollari. Un agricoltore italiano che vorrà coltivare soia dovrà tenere conto anche di questo fattore, che non scomparirà mai dato che il prodotto in questione è considerato materia prima.
Il maggiore rischio che corre chi coltiva questo prodotto, comunque, è dato dal triste fenomeno della volatilità, che già nel 2008, come detto, ha ingannato gli agricoltori di tutto il mondo. Consideriamo innanzitutto un importante fattore: coltivare soia piuttosto che mais conviene, in termini di prodotti vendibili, solo se il rapporto del prezzo tra questi due prodotti è al di sopra di 2,2. E attualmente non lo è, a causa dei prezzi ballerini dei cereali. Se la soia statunitense è venduta a oltre 500 dollari/t e quella italiana a oltre 400 euro/t, la rapida salita del prezzo del mais da 150 a 250 euro/t in pochi mesi ha ridotto il differenziale tra il cereale e la leguminosa, portando il rapporto al di sotto del 2,2 per la prima volta da agosto 2008.
Come combattere, allora, la volatilità per coltivare un prodotto estremamente conveniente come la soia? La soluzione è una sola: programmare le vendite. Il mercato delle grandi colture, al quale la soia appartiene, impone dei prezzi a livello internazionale, ai quali qualsiasi agricoltore, che sia statunitense, brasiliano o italiano, deve sottostare. Sono i grandi acquirenti a decidere i prezzi della soia al posto degli agricoltori, e questi ultimi, ovviamente, sono fortemente intimoriti dagli eventuali imprevisti e dalle possibili speculazioni. Per qualsiasi operatore è allora importante cercare di programmare le vendite, in modo da ridurre i rischi derivanti da una volatilità che, ultimamente, appare sempre alle porte.
In conclusione, è molto facile farsi attirare da una coltivazione come quella della soia, caratterizzata da bassi costi di produzione e da guadagni attualmente molto elevati. Come visto, però, essendo una materia prima molto richiesta e in balia del complesso mercato mondiale, questo prodotto si porta dietro una carrellata di rischi da valutare attentamente. E’ importante allora che ogni operatore consideri tutti i fattori accennati in questo articolo, lungo ma non di certo esaustivo, per compiere un’adeguata riflessione sulla coltivazione della soia.
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* Fonte: Università di Bologna, Facoltà di Agraria, Dipartimento di economia e ingegneria agraria. Studio pubblicato su "L’Informatore Agrario" n. 9/2011