Lotta contro la lattuga e il giacinto d’acqua

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Le due piante acquatiche hanno invaso i corsi d\'acqua italiani, provocando problemi economici, sociali e naturali. Ma per debellarle non serve la chimica: il metodo più efficace è quello della lotta biologica. I risultati di uno studio svolto in Campania*.

Quando le piante percepiscono condizioni ambientali favorevoli, esse tendono a colonizzare nuovi territori: tale diffusione dipende certo dai fattori naturali, quali la presenza o meno di barriere naturali come oceani o montagne o la capacità delle singole piante di produrre semi e propagarsi, ma anche l’uomo gioca un ruolo fondamentale nella diffusione dei vegetali, soprattutto tramite i traffici commerciali e turistici che alimentano la diffusione di piante e animali in luoghi non originari. E così, tra le piante sono molto frequenti i fenomeni di specie che si stabiliscono in un territorio nuovo, assumendo la connotazione di ‘pianta esotica’, alla quale si aggiunge l’appellativo ‘invasiva’ nel caso si diffonda in quantità particolarmente elevate e provocando disagi e squilibri nei territori colonizzati. E’ proprio questo il caso della lattuga d’acqua e del giacinto d’acqua, due piante tropicali che negli ultimi anni hanno invaso l’Italia, provocando non solo la messa a rischio della biodiversità, ma anche forti problemi socio-economici.

La lattuga d’acqua (Pistia stratoties, nella foto 1) è un’idrofita natante, ovvero una pianta acquatica galleggiante non ancorata al fondo, che appartiene alla famiglia delle Araceae (lo stesso gruppo di alcune piante italiane come la calla e l’anturio) e che vive in Africa, America e Asia, preferendo i corpi ricchi di sostanze nutritive e lentamente fluenti come i canali irrigui. Grazie alle sue caratteristiche di pianta acquatica ornamentale, la lattuga è stata diffusa in tutto il mondo volontariamente dall’uomo, per essere posta in acquari, vasche e giardini acquatici, e così presto è passata a crescere spontaneamente nell’intero globo. In Italia, la sua presenza allo stato naturale è stata registrata in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Campania, ed è soprattutto in quest’ultima regione che la pianta si è rivelata particolarmente invasiva, colonizzando l’intero territorio da Caserta a Napoli e venendo inserita nell’Alert list dell’European and mediterranean plant protection organization.

E’ facile riconoscere la lattuga d’acqua: il primo elemento che salta all’occhio è la tipica foglia spatolata che segue una disposizione a rosetta, proprio come le lattughe comuni. Il colore è verde chiaro, e le nervature sono parallele, in rilievo e lunghe oltre 20 centimetri. Molto fitta è la presenza di peli, soprattutto nella pagina inferiore, essenziale per il galleggiamento della pianta. I fiori sono disposti in infiorescenza a spadice e sono difficili da vedere; l’apparato radicale è fascicolato e costituito da molte radici secondarie, lunghe fino agli 80 centimetri. In Italia la lattuga d’acqua si diffonde per via vegetativa tramite stoloni (non è invece ancora accertata la diffusione per semi), arrivando a costituire popolamenti densissimi che risultano dannosi sia perché ostruiscono i corsi idrici e le infrastrutture come i canali e le pompe, sia perché alterano la struttura vegetale e animale dei corsi d’acqua invasi.

Non è la prima volta che la lattuga d’acqua invade un paese o una regione, perciò le tecniche di lotta contro questa pianta sono piuttosto consolidate, soprattutto grazie alla sperimentazione svolta in Australia, Stati Uniti e Sudafrica. Tali pratiche comprendono l’utilizzo di erbicidi, la rimozione meccanica della biomassa e il controllo biologico. Il primo è una misura molto rischiosa: l’utilizzo di elementi chimici è fortemente negativa sui corsi d’acqua e sulle altre specie che ci vivono. A impatto zero risulta invece la rimozione fisica della lattuga d’acqua, anche se questa misura è praticabile solo su piccole superfici, e non risolve comunque il problema in maniera definitiva (dato che possono nascere nuove piante a partire da frammenti di stoloni o radici rimasti nel corso d’acqua). Il metodo più consigliabile è allora la lotta biologica tramite gli antagonisti naturali della lattuga, come il coleottero curculinoide Neohydronomus affinis Hustache (utilizzato con successo in Sudafrica) e il fungo Sclerotinia sclerotiorum (che ha debellato la lattuga in Nuova Zelanda).

Passando al giacinto d’acqua (Eichhornia crassipes, nella foto 2), in questo caso stiamo invece parlando di una pleustofita, cioè di una pianta acquatica non ancorata al fondo, appartenente alla famiglia delle Pontederiaceae e originaria del Brasile. Anche il giacinto d’acqua è oggi diffuso in tutto il mondo: in Italia lo si può ritrovare in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Lazio, Toscana, Campania, Sicilia, Sardegna. In questo caso si sospetta che la sua diffusione sia completamente accidentale, al contrario di quella della lattuga d’acqua. Chi osserva il giacinto d’acqua – una pianta che si diffonde enormemente nei corpi idrici con molti nutrienti, tramite seme o stoloni – si trova davanti una pianta con pochissimi peli e delle foglie disposte a rosetta e dotate di un picciolo lungo non più di 50 centimetri, più o meno grosso e piriforme (la sua funzione è quella di far galleggiare la pianta, dato che è ricco di parenchima aerifero). La lamina fogliare è di forma obovata (a uovo, con larghezza massima all’apice) e di diametro di circa 20 centimetri, con una colorazione verde lucida. I fiori, al contrario della lattuga d’acqua, sono molto appariscenti e raggruppati in spighe lunghe anche 10 centimetri: ogni fiore ha sei petali blu violaceo o rosa lavanda, di cui uno – quello superiore – con una visibile macchia gialla circondata da un alone violaceo. La parte sommersa della pianta è invece composta da radici fascicolate nere o buastre lunghe fino ai tre metri e ricche di ramificazioni secondarie.

Il giacinto d’acqua è molto più sensibile alle basse temperature invernali rispetto alla lattuga, e già questo è un elemento a favore della lotta, ma non basta: il giacinto è infatti considerato dall’International union for conservation of nature una delle cento specie più pericolose del mondo, e risulta inserito nella lista A2 dell’European and mediterranean plant protection organization (cioè la lista delle piante considerate da quarantena e per le quali è consigliato adottare specifiche misure di prevenzione a livello nazionale). Il metodo di lotta più efficace risulta attualmente l’introduzione di alcuni coleotteri come il Neochetina eichhorniae Warner e del lepidottero Niphograpta albiguttalis Warren.

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*Per l’articolo di questa pagina, l’autore si è avvalso dello studio svolto dal Dipartimento di arboricoltura, botanica e patologia vegetale dell’Università degli studi di Napoli Federico II e dal Servizio fitosanitario della Regione Campania, pubblicato ne L’Informatore Agrario n. 15/2011 come "Stinca A. et al. – "Lattuga e giacinto d’acqua invadono la Campania" (pagg. 67-68).

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