Prugne, colture a rischio estinzione: è emergenza

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I produttori di tutto il mondo lamentano la mancata sostenibilità economica e minacciano la conversione dei campi a frutta a guscio

I produttori di prugne di tutto il mondo rischiano di interrompere le loro coltivazioni: i prezzi di mercato sono troppo bassi, e non riescono a garantire gli introiti necessari per proseguire il proprio lavoro. È allarmante il comunicato dell’International Prune Association (Ipa), che rappresenta i produttori di prugne in tutto il globo. Dopo diversi anni di prezzi insostenibili a causa delle estese coltivazioni del Sud America, i coltivatori di prugne di Francia, California, Cile e Argentina affermano che non potranno continuare a coltivare prugne nel 2013 se non ci sarà un aumento significativo dei prezzi di mercato.

Nella sua nota, l’Ipa stima che il 10% della superficie mondiale coltivata a prugne (circa 12 mila ettari) sia stato abbandonato o espiantato negli ultimi due anni. Tali frutteti sono in fase di conversione a noceti o mandorleti, e il fenomeno interessa tutti i principali paesi produttori di prugne. La sostenibilità economica di questa coltivazione è infatti diventata inesistente, e l’Ipa lo ha affermato già in una conferenza organizzata lo scorso maggio a Davis, in California, dove i rappresentanti di tali paesi hanno espresso l’insoddisfazione dei loro coltivatori per il basso livello dei prezzi correnti di mercato e il rischio che le superfici siano destinate a frutta a guscio – coltura che gode di una quotazione più favorevole – se i prezzi non miglioreranno nel 2013.

La minaccia, insomma, è quella di una scomparsa totale delle prugne dai mercati di tutto il mondo. Ma le segnalazioni dell’Ipa hanno già portato alcune reazioni positive: il principale trasformatore di prugne della California ha aumentato i prezzi nazionali al dettaglio di quasi il 10%, e ha annunciato aumenti più modesti anche nei mercati europei come Germania, Italia, Danimarca, Norvegia e Finlandia. I rappresentanti dei coltivatori indipendenti hanno replicato sostenendo che tale misura non fosse sufficiente, chiedendo un aumento dei prezzi del 13% perché fossero minimamente redditizi: una richiesta legittimata dalle indagini del governo statunitense, che ha contato giacenze per il 13% in più rispetto al 2011. Nel frattempo la battaglia continua, con i consumatori che sperano di non dover rinunciare a un frutto unico per le sue proprietà benefiche sulla digestione e sulla salute delle ossa e del cuore.

Agrinotizie


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