Il business delle colture energetiche dirette

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I fondi Psr incentivano la coltivazione di biomasse legnose, che, se mantenute in zone marginali non utilizzare per l\'ortofrutta, possono garantire alti guadagni in un periodo di necessità di energia pulita.

Esistono risorse naturali che potrebbero risollevare le sorti dell’economia dell’intera Europa, ma che ancora sono poco utilizzate. Le specie vegetali da cui si possono ricavare biomasse, infatti, sono molto numerose, e spesso sono coltivate apposta per questo scopo. Sono le cosiddette "colture energetiche dirette", alle quali solitamente appartengono pioppi, eucalipti, salici, miscanthus e sorgo da fibra. Ma tra i vegetali esistono anche residui agroindustriali e agricoli utilizzati come riciclo per ottenere biomasse, ovvero la paglia, gli stocchi di mais, la sansa di oliva, la lolla di riso e i sarmenti, nonché residui forestali come ramaglie e ceppaie, calpestati o usati come combustibile senza valorizzare la loro utilità. E dire che tutta questa massa di vegetali, oggi considerati di scarsa utilità, potrebbe aiutare l’Unione Europea a raggiungere l’obiettivo di produrre il 20% di energia tramite fonti rinnovabili entro il 2020.

Qualche agricoltore, però, ha intuito che in futuro potrebbe esserci sempre più bisogno di tali fonti di energia, e si è buttato nel business delle colture energetiche dirette. Un’idea che in tempi di crisi sembra ghiotta a tante persone, ma è necessario avere qualche conoscenza di base per evitare di compiere passi falsi. Innanzitutto, si deve sapere che non tutti i vegetali possono fornire biomasse: a definire l’idoneità di una coltura ai fini energetici sono infatti tre accurati indici scientifici.

Il primo di questi, espresso in megajoule per chilo di sostanza secca, calcola il potere calorifico inferiore di un prodotto, che rappresenta la quantità di energia termica ottenibile dalla combustione di un chilo di sostanza secca. Se il valore è superiore a dieci MJ/kg, il prodotto può essere adatto, ma serve un’ulteriore verifica: va infatti calcolato anche il rapporto tra le quantità di carbonio e di azoto contenute nel prodotto in questione; rapporto che viene solitamente utilizzato per identificare il grado di lignificazione del materiale e la sua attitudine alla combustione. Se quest’ultimo valore sarà superiore a 30, allora la sostanza sarà certamente adatta per ottenere energia. Esiste però un altro importante valore da non sottovalutare, ovvero la percentuale di umidità del prodotto, che deve essere inferiore al 30%, per evitare che l’acqua provochi perdite energetiche evaporando durante la combustione. Infatti, se il potere calorifico del legnoso secco cambia notevolmente dai 17 ai 18 MJ/kg, la stessa biomassa fresca e umida al 70% produce solo 6 MJ/kg.

Fatti propri questi valori, un agricoltore che voglia tuffarsi nel business delle biomasse dovrebbe prendere in seria considerazione la coltura di sostanza legnosa. E’ infatti questo tipo di vegetale la migliore occasione di business che un’azienda agricola può avere in questo momento. Consociazioni di pioppi con salici, olmi, platani ed eucalipti sono possibili in tutto il territorio nazionale, e in cinque anni possono arrivare a fornire 200 tonnellate ad ettaro di massa legnosa, con un conseguente reddito di circa 5600 euro ad ettaro.

Come fare ad arrivare a questa cifra? Con la calcolatrice alla mano è semplice: l’attuale Psr copre il 40% della spesa di impianto, alla quale vanno aggiunti i costi di produzione, di circa 45 euro/ha. Annualmente si possono produrre tra le 30 e le 40 tonnellate per ettaro con un’umidità del prodotto del 50%: adottando tecniche per abbattere quest’ultima, si può ottenere una resa di 20 megawatt/ettaro, che, basandosi sulla tariffa omnicomprensiva per la produzione di energia verde di 280 euro/ha, fa ottenere 5600 euro/ettaro di reddito.

Se si pensa che la coltura di specie legnose può essere mantenuta su zone marginali non coltivate a prodotti ortofrutticoli, è facile farsi prendere dall’entusiasmo del business delle biomasse legnose, le quali oggi alimentano la tecnica più consolidata in Europa per la produzione di calore ed energia elettrica, e vengono utilizzate dalle aziende agricole per riscaldare gli ambienti e le acque sanitarie.  Ma non solo: le moderne caldaie domestiche permettono di produrre energia elettrica sfruttando il calore di combustione per ottenere vapore acqueo da immettere in apposite turbine. Un’azienda agricola potrebbe dunque mettersi a produrre il cosiddetto pellet, la fonte di alimentazione di tali caldaie, oggi presenti in un numero sempre maggiore di case. Il pellet consiste in piccoli cilindri legnosi di due centimetri di lunghezza e sei-otto di diametro, ed è considerato il biocombustibile legnoso più adatto agli impianti domestici, perchè facile da gestire anche per le persone comuni. Entrare in questo business potrebbe significare risollevare le sorti della propria azienda agricola.

Le biomasse, insomma, possono permettere grandi guadagni agli agricoltori, a patto di sfruttare due elementi: i fondi Psr e i terreni non coltivati, due operatori che, se combinati, faranno tornare a sorridere in tempi di crisi. Le porte della coltivazione energetica diretta sono aperte per tutti.

Agrinotizie


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