Sagre gastronomiche: tradizione o turismo?

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Le sagre sono diventate un mero strumento di guadagno, grazie alla compiacenza dei Comuni italiani, che non si interessano della valorizzazione locale.

Le acque hanno cominciato a muoversi ad aprile 2009, quando durante la manifestazione ‘Territori in festival’ è stato presentato il ‘Manifesto della sagra’, un decalogo in sette punti per stabilire i principi fondamentali per l’organizzazione di una vera sagra. Da allora, gli scontri sono stati aspri, fino ad arrivare al clima degli ultimi mesi in cui Confcommercio e Confesercenti, tramite le rispettive federazioni dei ristoratori Fipe e Fiepet, hanno dichiarato guerra alle finte sagre di paese, chiedendo a gran voce l’intervento del governo e delle regioni.

Perchè la questione delle sagre in Italia riguarda soprattutto un aspetto culturale: un evento che si rispetti deve infatti avere una certa autenticità storica, e se questa manca, che almeno ci siano una proposta enogastronomica di qualità e un vero coinvolgimento della comunità locale. E invece, denunciano i ristoratori, negli ultimi anni si è assistito a un grande aumento di sagre ‘taroccate’, in cui gli stand offrono una gran varietà di alimenti che non solo si allontanano dai principi di una sagra autentica, ma addirittura non rispettano i più basilari criteri igienico-sanitari, fiscali e previdenziali, andando così a costituire una concorrenza sleale verso i ristoratori che invece sono costretti a rispettare delle rigide norme.

D’altronde, è risaputo che le sagre negli ultimi dieci anni si sono trasformate da feste tradizionali e locali a manifestazioni turistiche, proliferando enormemente. Basti sapere che Confesercenti Brescia ne ha contate 1594 solo nella sua provincia, per un totale di 5804 giorni all’anno. Le sagre sono spesso inventate da imprenditori che mirano solo al profitto economico, e i Comuni sono compiacenti e autorizzano fondi e utilizzo del suolo pensando al ritorno in termini di visibilità. Gli stand di conseguenza proliferano, autorizzati senza criterio, e dando luogo a ipotetiche situzioni in cui si cucinano prodotti congelati e importati da paesi extraeuropei.

Insomma, si può tranquillamente affermare che due sagre su tre non sono assolutamente legate alla tradizione enogastronomica locale. Come fare, allora, per contrastare questo fenomeno? Forse basterebbe più responsabilità da parte di associazioni, Comuni e imprenditori, ma nel caso questa non fosse sufficiente (si sa che il denaro acceca chiunque), una legge che obblighi le sagre a valorizzare il contesto enogastronomico locale non sarebbe certo una cattiva notizia.

Agrinotizie


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