Avicoltura, recuperiamo le razze autoctone

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Le piccole aziende agricole possono fermare l\'estinzione dei polli tipici italiani: il vantaggio sarebbe anche in termini economici.

La storia dell’allevamento avicolo è cominciata due millenni fa, precisamente durante l’epoca dei Romani, che utilizzavano diverse tecniche di allevamento per valorizzare le caratteristiche distintive delle varie razze autoctone di pollo. Questo animale, infatti, è sempre stato rappresentato da centinaia di razze sparse per tutto il mondo, e sopravvissute dapprima grazie ai fortuiti isolamenti dei loro habitat naturali, e successivamente grazie alla tutela degli antichi Romani. Tale ampia varietà morfologica è scomparsa solo con l’avvento delle moderne tecnologie zootecniche e del rigido mercato globale, le quali hanno spinto gli avicoltori a ignorare la storia e le origini territoriali delle varie razze di pollo, per favorire una produzione standardizzata e razionale. Un vero e proprio inquinamento culturale, che ha determinato l’estinzione di quarantadue tipi genetici autoctoni italiani negli ultimi cinquant’anni, privilegiando le razze straniere che sono riuscite ad assuefarsi al clima italiano.

E così, è iniziata la fine delle produzioni di polli tipici italiani: se in passato il nostro paese era tra i leader del settore grazie alla sua qualità produttiva, oggi l’avicoltura italiana è profondamente omologata a quella del resto del mondo, e di conseguenza registra dei fatturati molto più poveri rispetto al passato. Ma le maggiori difficoltà si stanno vivendo in questi ultimi anni, quando cioè le tendenze di mercato hanno spinto gli operatori a puntare su razze straniere più produttive, determinando non solo un ulteriore indebolimento economico, ma anche un impoverimento dei tratti principali che caratterizzano le razze avicole, come la taglia e la forma del corpo, il colore e la quantità di piumaggio e la tipologia di cresta.

Sono proprio queste caratteristiche genetiche, unite alle peculiarità non morfologiche quali il carattere, la tonalità di voce e la produttività, che il nostro paese dovrebbe tutelare come patrimonio culturale. Il vantaggio, per le aziende avicole italiane, sarebbe non solo in termini di immagine, ma anche di fatturato: un pollo di razza autoctona allevato per sei mesi da un’azienda può toccare quotazioni di quindici volte superiori rispetto alle razze industriali. Per le piccole aziende italiane, caratterizzate da produttività minori, ciò può fare la differenza.

A dare una mano a chi alleva razze autoctone, inoltre, ci sono i numerosi contributi erogati dagli enti locali che vogliono salvaguardare i polli tipici del territorio, anche tramite degli incentivi alle iniziative imprenditoriali che si muovono in tale direzione. Tra l’altro, un’attività zootecnica come l’allevamento di polli può servire a sfruttare i terreni marginali di un’azienda agricola: per questo tanti imprenditori, compresi quelli agrituristici, dovrebbero riflettere sull’adozione di tale possibilità. Anche se, delle 61 razze autoctone italiane, 42 sono come detto già estinte, ne esistono altre 13 a grave rischio di scomparsa che possono essere tutelate da una o più aziende agricole. Di queste, ci permettiamo di suggerirne due che si distinguono per le loro utili caratteristiche: la siciliana, che ha un’elevata capacità produttiva, e la romagnola, che è in grado di resistere alle condizioni climatiche più difficili.

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