La chimica verde lega agricoltura e industria

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Legumi, patate e cereali: anche i loro scarti pregiati possono essere utilizzati per creare prodotti industriali biodegradabili. E il resto diventa carburante o concime.

Grazie alla cosiddetta "green economy", presto l’agricoltura potrebbe raggiungere nuove frontiere: questo grazie ad una nuova tecnica semplice, pulita e molto redditizia, una vera e propria alternativa ecologica ai prodotti di origine petrolchimica. Stiamo parlando della chimica verde, una pratica che sta legando sempre di più l’agricoltura al settore industriale. Il suo funzionamento è tanto semplice quanto geniale: le filiere agricole, in particolare quelle di cereali, patate e legumi, una volta lavorato il raccolto ne mettono da parte gli scarti, che vengono utilizzati dall’industria per creare dei prodotti biodegradabili di origine vegetale, non tossici e ad impatto ambientale estremamente basso.

Le materie di scarto più utilizzate sono quattro – amidi, proteine, zuccheri e tessuti vegetali – e con esse si può produrre una vasta gamma di prodotti, che va dalla semplice plastica biodegradabile (come quella delle nuove sportine per la spesa, obbligatorie da inizio 2011) ai biolubrificanti e alle agroenergie, senza dimenticarsi di solventi, fitofarmaci e coloranti completamente naturali, prodotti senza immettere anidride carbonica nell’atmosfera. Se fino ad oggi gli scarti prodotti dall’agricoltura erano utilizzati solamente per produrre energia elettrica e carburante, con la nascita delle cosiddette bioraffinerie il concetto di riciclo si è notevolmente allargato: la biomassa vegetale di scarto oggi è interamente riutilizzata dall’industria per produrre delle molecole chimiche naturali, utilizzate per almeno il 60% per la creazione dei prodotti già citati, e solo per il 40% per la produzione di elettricità e biocarburante.

Tale processo potrebbe permettere la nascita di una maxi filiera agroindustriale, con benefici sia ambientali che economici per entrambi i lati. E senza buttare via niente: i fanghi prodotti dalle varie lavorazioni industriali torneranno infatti al settore agricolo, per essere utilizzati come concime. Il processo reale è ovviamente più complicato rispetto alla sua descrizione, ma è indubbio che la chimica verde può rappresentare la vera salvezza per ridonare equilibrio all’ambiente naturale, ormai fortemente compromesso dall’inquinamento atmosferico.

Nel campo della chimica verde l’Italia sta già facendo la sua parte: sono circa trecento le aziende che sfruttano le biotecnologie per creare prodotti alternativi a quelli ricavati da idrocarburi. Le regioni più dinamiche nel nostro paese sono la Puglia e l’Emilia Romagna: la prima regione è leader incontrastata nell’energia pulita (basti pensare che nel 2009 ha prodotto da sola tanta energia fotovoltaica quanto quella dell’intera Cina), mentre la seconda è qualche passo più indietro, ma sembra seriamente intenzionata a recuperare, tanto che ha già investito ben 110 milioni nel settore della green economy. E si spera che questo sia solo l’inizio di una grande svolta, anche se di sicuro le piccole dimensioni della nostra penisola non aiutano: una singola bioraffineria richiede almeno 20.000 ettari di terreno per la produzione delle biomasse necessarie.

Agrinotizie


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