La risicoltura italiana puo’ migliorare

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Partendo dalla lotta contro il monopolio dei trasformatori, il Mipaaf può far crescere un comparto con ampi margini di sviluppo

L’agricoltura italiana è molto attenta all’andamento globale del mercato dei cereali, soprattutto del grano e del mais, ma si è sempre disinteressata del riso. Perché questo settore non scatena l’attenzione del nostro comparto agricolo? Lo si può capire analizzando alcune statistiche.

Partiamo dalla situazione mondiale: il riso è un alimento che nutre la metà della popolazione terrestre, ma il suo commercio è molto ridotto rispetto alla quantità prodotta nel globo. In tutto il pianeta la superficie coltivata ammonta infatti a 159 milioni di ettari (nel 1982 erano 144 milioni; inoltre da quell’anno le rese medie sono esattamente raddoppiate), per una produzione stimata di 461 milioni di tonnellate nella campagna 2011-2012, che è un record assoluto. Tuttavia, appena 33 milioni di tonnellate vengono immesse nel mercato mondiale: si tratta del 7% della produzione (contro, ad esempio, il 20% del grano).

Vediamo ora i prezzi. L’indice Fao indica il valore medio 100 nel periodo 2002-2004; il valore 220 tra gennaio e luglio del 2010 e il 240 tra gennaio e luglio 2011. Osservando i dati per singola varietà, si scopre che la japonica (quella di riferimento dei risicoltori italiani) è passata da 251 di gennaio-luglio 2010 a 286 a gennaio-luglio 2011. Infine, va detto che il prezzo del riso non è come le altre grandi commodity, ma varia a seconda delle decisioni dei singoli Stati, anche perché, come detto, tendenzialmente ogni nazione produce il riso per se stessa.

Passando alla situazione italiana, si scopre una situazione particolare: il 92% della superficie nazionale coltivata a riso si trova in Piemonte e Lombardia; addirittura il 65% solo nelle province di Pavia e Vercelli. Una situazione molto concentrata, insomma, che si rispecchia anche nei produttori e nei trasformatori: questi nel nostro paese sono rispettivamente 4800 e 53, e il 91% di questi è in Piemonte e Lombardia.

Da quest’ultimo dato è emersa un’altra anomalia: la grande differenza tra numero di produttori e di trasformatori (questi ultimi, per essere precisi, sono 53 ma si riconducono a soli cinque gruppi aziendali); una realtà mai contrastata dall’Autorità per la concorrenza, ma che penalizza notevolmente i produttori, i quali non riescono a ottenere quotazioni remunerative per il loro lavoro. Forse, è proprio dal ribaltamento di questo squilibrio che il Mipaaf, se interessato, può partire per migliorare la risicoltura del nostro paese.

Agrinotizie


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